Prima fioriscono quelli rossi, poi i rosa, i gialli e, alla fine, i bianchi. I bianchi sono i più rari. C’è un esemplare giovanissimo nella strada in cui abito. E’ recintato e, da un ramo, penzola un cartello che recita “Sono un ipê bianco. Guarda quanto sono bello!”
Gli ipês sono alberi strani. Quando la temperatura scende, un brivido scuote la loro corteccia come un presagio di morte. Temono manchi poco, temono sia la fine. Per questo, fioriscono.
– Ti piacciono gli ipês?
Fu il primo sì che gli dissi. Mi ero incantata con il naso in aria, a seguire la traiettoria di quelle nuvole rosa scosse dal vento. Piccoli petali, come cuori, si staccavano dai rami, spole romantiche tra cielo grigio e asfalto nero, in un pomeriggio d’inverno. Una pagina di quaderno che avrei riempito, senza saperlo.
Gli ipês sono alberi ribelli, fanno le cose al contrario. Sfidano le stagioni e la sorte. Si riempiono di colori, quando tutti gli altri sono vestiti a lutto.
Avrei potuto coprirmi il cuore anch’io, basando, sulla precarietà di quel momento, la scelta di trascurare il tramonto e rimandare ad un’alba successiva, di maggiore certezza, la possibilità di scoprire quello che avevamo da vivere. Come quegli alberi che, per paura di bruciarsi, aspettano il conforto della primavera prima di fiorire.
Ma sullo sfondo c’erano gli ipês.
Gli ipês sono alberi folli. Non aspettano la primavera. Gli ipês fanno l’amore in inverno.
– Voglio fare con te quello che l’inverno fa con gli ipês.